Un probabile nuovo meccanismo nella malattia di Alzheimer

 

 

LORENZO L. BORGIA & NICOLE CARDON

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 14 novembre 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La APP (amyloid precursor protein), una proteina transmembrana tipo I codificata da un gene del cromosoma 21 ed esistente in varie isoforme, è abbondante nel sistema nervoso e concentrata nei neuroni centrali, dove per trasporto anterogrado lungo gli assoni raggiunge i terminali sinaptici. Da alcuni decenni, per la sua centralità nella patologia molecolare della malattia di Alzheimer, è un oggetto di studio privilegiato in ricerche che vanno dall’ambito genetico, che ha identificato mutazioni di APP all’origine di forme familiari della demenza neurodegenerativa, a quello biochimico e biologico molecolare, che hanno identificato possibili meccanismi nella patogenesi del danno.

Le placche amiloidi, che insieme con la degenerazione neurofibrillare[1] intracellulare costituiscono il contrassegno morfologico della malattia descritto dallo stesso Alois Alzheimer, si formano per deposizione di peptidi β-amiloidi e sono costituite, oltre che dal materiale amiloide, da neuriti dilatati e frammentati, da detriti neuronici, da microglia ed altre cellule gliali e infiammatorie. A lungo, due teorie eziopatogenetiche si sono contrapposte: la prima considerava quale primum movens l’accumulo extracellulare di amiloide derivata dai peptidi amiloidogenici (Selkoe), la seconda ipotizzava un inizio endocellulare a partire da alterazioni della proteina tau (Tanzi). Il procedere degli studi ha poi fornito la dimostrazione sperimentale della possibilità di induzione della degenerazione neurofibrillare intraneuronica da parte di peptidi β-amiloidi.

Attualmente esiste una discreta conoscenza, come vedremo in sintesi più avanti, delle tappe biochimiche necessarie alla formazione dei peptidi amiloidogenici e una notevole mole di dati sui probabili meccanismi tossici. Ormai è una nozione consolidata che il taglio molecolare operato sull’APP da β-secretasi e γ-secretasi genera peptidi Aβ1-40, 42 e 11-40, 42, i quali si accumulano prevalentemente negli spazi extracellulari del neuropilo della neocorteccia e dell’ippocampo. Ogni riflessione sulla patogenesi molecolare dei sintomi cognitivi si è basata su questo principale riferimento, soprattutto per le fasi precedenti la massiccia perdita apoptotica e necrotica di neuroni proencefalici.

Ora, un ampio team ha studiato un nuovo frammento dell’APP dimostrandone anche la potenzialità psicotossica. La scorsa settimana ne abbiamo dato notizia nelle “Notule” con queste parole: “Willem e numerosi colleghi, provenienti da 14 diversi istituti scientifici, in uno studio pubblicato su Nature dichiarano di aver identificato i frammenti CTF-η dai quali derivano i peptidi Aη, e riportano di aver verificato la capacità dei prodotti di scissione dell’APP secondo la via della η-secretasi di inibire l’attività neuronica dell’ippocampo.”[2]. Prima di esporre in breve i contenuti di questo studio, si fa presente che lo scorso 27 di ottobre, in un’anteprima elettronica precedente la pubblicazione a stampa, due ricercatori, l’uno proveniente dall’Università Nazionale di Singapore, l’altro dall’Università della California a San Diego, Tyan e Koo, hanno annunciato la scoperta del nuovo frammento, affermando che “una scissione mai descritta in precedenza dell’APP (amyloid precursor protein) da parte della η-secretasi, seguita dall’intervento di α- o β-secretasi, rilascia un nuovo frammento proteolitico, battezzato , in grado di causare danno sinaptico”[3].

In ogni caso, anche se la via biochimica che porta alla formazione di non si rivelerà in grado di gettare luce sui meccanismi di molti disturbi, come suggerito da Tyan e Koo, e anche se questo nuovo frammento peptidico non modificasse sostanzialmente il quadro della patologia molecolare della malattia di Alzheimer, la sua esistenza e la potenzialità neurotossica non potranno essere ignorate dalla ricerca [Willem M., et al., η-secretase processing of APP inhibits neuronal activity in the hippocampus. Nature 526 (7573): 443-447, 2015].

Si indicano, di seguito, solo alcuni dei principali istituti di provenienza degli autori: Biomedical Center (BMC), Ludwig-Maximilians University Munich, Munich (Germania); German Center for Neurodegenerative Diseases (DZNE), Munich (Germania); Institute of Neuroscience, Technical University of Munich, Munich (Germania); Institute of Pathology, University of Ulm, Ulm (Germania); Max Planck Institute of Biochemistry, Martinsried (Germania); Department of Public Health and Geriatrics, Uppsala University, Uppsala (Svezia).

Nei neuroni, l’APP per trasporto anterogrado rapido lungo l’assone giunge ai terminali dove, in compartimenti endocitici, subisce l’intervento di β-secretasi e γ-secretasi che liberano peptidi Aβ monomerici nello spazio extracellulare. Una parte dei peptidi Aβ sembra derivare da processi post-sinaptici. Multimeri di Aβ si assemblano formando configurazioni β-sheet, protofilamenti e fibrille amiloidi. Continua il dibattito sulle specie di Aβ e sugli stati di conformazione che esprimano maggiore nocività. In passato, placche, fibrille e protofibrille erano considerate dalla maggior parte dei ricercatori le principali responsabili dei meccanismi di danno, ma numerose prove hanno dimostrato che i multimeri, da alcuni denominati ligandi diffusibili Aβ-derivati (Aβ-derived diffusible ligands, ADDLs), sono le principali entità tossiche[4].

Poiché l’APP e le secretasi amiloidogeniche sono presenti nei neuroni e trasportate alle sinapsi, si ritiene che l’APP neuronica sia la maggior fonte di precursore che dà origine alle specie Aβ in prossimità dei terminali, dove BACE1 (β-site APP cleaving enzyme 1) scinde in compartimenti endocitici APP formando derivati C-terminali amiloidogenici, che sono poi scissi dalla γ-secretasi con la produzione dei peptidi Aβ 40, 42 e 43.

A proposito di BACE1, noto anche come β-secretasi 1, beta-site APP clearing enzyme, ASP2 ed altri nomi, è un’aspartil-proteasi codificata nella nostra specie dal gene BACE1 ed importante nei neuroni del sistema nervoso periferico per la formazione della guaina mielinica dei neuriti che entrano nella compagine dei nervi. Le proteasi BACE, e particolarmente BACE1, sembrano avere importanza nella funzione dei fusi muscolari, per questo si teme che gli inibitori di questa molecola in sperimentazione, che appaiono innocui nei roditori, possano generare sintomi da alterata coordinazione motoria.

I peptidi Aβ, normalmente rilasciati al livello dei terminali, possono influenzare l’attività sinaptica.

Due principali vie fisiologiche possono sia prevenire che promuovere la formazione di β-amiloide dal suo precursore APP, secondo una modalità competitiva. Sebbene i processi biochimici cui va incontro questo polipeptide precursore siano stati studiati in grande dettaglio, eventi proteolitici sconosciuti sembrano impedire le analisi stechiometriche in vivo. Affrontando questo problema, Willem e colleghi hanno studiato una nuova via biochimica di processo fisiologico dell’APP, che genera frammenti proteolitici che si sono rivelati in grado di inibire l’attività neuronica nell’ippocampo. Gli autori affermano di aver identificato frammenti carbossi-terminali (CTF) di elevata massa molecolare, denominati CTF-η, accanto ai notissimi CTF-α e CTF-β generati dalle secretasi α e β, rispettivamente ADAM10 (disintegrin and metalloproteinase 10) e BACE1 (β-site APP cleaving enzyme 1). La genesi di CTF-η è mediata in parte da metalloproteasi di matrice legate alla membrana, quali MT5-MMP, alla quale si fa riferimento per l’attività η-secretasica. La scissione η-secretasica si verifica primariamente presso gli aminoacidi 504-505 di APP695, con rilascio di un ectodominio troncato. Dopo la perdita di questo ectodominio, CTF-η è ulteriormente elaborato da ADAM10 e BACE1 di peptidi Aη lunghi e brevi, detti Aη-α e Aη-β.

I CTF-η prodotti dalla η-secretasi sono risultati più numerosi nei neuriti distrofici in un modello murino di malattia di Alzheimer e nei cervelli alzheimeriani umani. L’inibizione genetica e farmacologica dell’attività di BACE1 risulta in un massiccio accumulo di CTF-η e Aη-α.

In topi trattati con un potente inibitore di BACE1, il potenziamento di lungo termine (LTP) delle sinapsi dei neuroni dell’ippocampo risultava notevolmente ridotto. Da notare che, quando un Aη-α sintetico o ricombinante era applicato a sezioni sottili di tessuto ippocampale ex vivo, si aveva un abbassamento dell’LTP. Inoltre, con la tecnica dell’imaging bi-fotonico del calcio di singole cellule in vivo, si rilevava l’attenuazione dell’attività neuronale dell’ippocampo da parte di Aη-α.

I risultati di questo studio, non solo dimostrano l’esistenza di una via biochimica principale e funzionalmente rilevante dell’APP, ma possono anche fornire indicazioni importanti per nuove strategie terapeutiche rivolte ai processi che riguardano il polipeptide precursore delle molecole implicate nella formazione delle placche della malattia di Alzheimer.

In attesa di riscontri, verifiche e opinioni da parte dei ricercatori afferenti ai principali gruppi di ricerca impegnati in questo campo, ci sembra che l’esito di questo studio, insieme con quello di Tyan e Koo prima menzionato, costituisca la maggiore acquisizione di questi giorni nel campo della neurobiologia molecolare della malattia di Alzheimer.

 

L’autore della nota ringrazia la professoressa Richmond per la collaborazione e la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza, e invita alla lettura delle “note” di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Lorenzo L. Borgia & Nicole Cardon

BM&L-14 novembre 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Le neurofibrillary tangles, ossia grovigli fibrillari che si formano per degenerazione delle strutture portanti dell’assone, sono composte da aggregati di filamenti appaiati ad elica derivati da agglomerati in beta-configurazione della proteina tau.

[2] V. Inibizione di neuroni dell’ippocampo da parte del frammento Aη dell’APP scoperto di recente (Note e Notizie 07-11-15 Notule).

 

[3]  V. Scoperto un nuovo frammento di APP con un probabile ruolo nella malattia di Alzheimer (Note e Notizie 07-11-15 Notule). Cfr. Tyan S. H.  et al., Cell Res. – Epub ahead of print 10.1038/cr.2015.125, Oct. 27, 2015.

[4] Caughey B., et al. Annual Review of Neuroscience 2, 271-276, 2003; Gong Y., et al. PNAS USA 100, 10417-10422, 2003; Selkoe D. J., Science 298, 789-791, 2002.